Immaginando il futuro, possiamo ri-creare noi stessi

Complesso o complicato?

Fino a qualche tempo fa, pensavo che "complesso" e "complicato" fossero sinonimi; magari non proprio sinonimi perfetti, ma pensavo che "complesso" fosse una specie di accrescitivo di complicato. Invece, c'è una differenza di significato tra i due termini non indifferente.Una questione, un problema complicato è difficile da risolvere; ma è comunque possibile trovarne la soluzione, se lo si affronta con gli strumenti adatti applicati nel giusto ordine.Nella complessità, invece, ci sono troppe incognite, troppi fattori interrelati: non è possibile applicare regole e processi per risolverla. Non è facile nemmeno decidere quale linea d'azione seguire, perché gli effetti sono imprevedibili, tanti sono gli elementi che influenzano il risultato. Anche dopo aver preso una decisione, può essere difficile sapere se era quella "giusta". Per esempio:

  • Una bicicletta non è molto complicata – è abbastanza facile capire come funziona.

  • Mettere in orbita un satellite è estremamente complicato – ma è possibile controllare la maggior parte delle variabili che lo consentono.

Sistemi complessi. Foto di veeterzy e craig adderley via Pexels.

Le città, invece, sono complesse. Gli umani, che pure le hanno pianificate e costruite, non hanno compreso appieno le implicazioni delle proprie azioni, né possono controllare tutte le variabili dello sviluppo urbano. Ci sono troppe direzioni possibili, troppi imprevisti imprevedibili. Ma non serve l'intervento umano per costruire sistemi complessi: anche una foresta è un insieme estremamente complesso, in cui processi di simbiosi e antagonismo coinvolgono centinaia di migliaia di esseri viventi e non.

Aiuto, è troppo complesso

Turner, Tintern Abbey, 1794

La complessità è un intricato sistema di relazioni e variabili impossibile da domare. Ci affascina e ci angoscia. Ci dà una sensazione di sublime, quell'insieme di curiosità, stupore e angoscia di cui parla Schopenhauer. Ne Il mondo come volontà e rappresentazione (1819), Schopenhauer scrive: se di fronte alla spietata forza della natura l'uomo avverte il pericolo e ha paura di esserne sopraffatto, ma nonostante ciò persiste nella contemplazione, allora quello è il sentimento del sublime. Ecco, di fronte alla complessità mi sento così. La mole mostruosa di informazioni che mi inonda tutte le mattine quando sblocco lo smartphone, e in cui continuo a navigare finché non vado a dormire, mi attira e mi spaventa.

Per questo motivo, a volte, cado nella tentazione di cercare di ridurre la complessità a una serie di problemi complicati: voglio vedere i dati, dare alla complessità una rappresentazione ordinata. Chi non è mai stato sedotto dalla rassicurante purezza dei dati? Il braccialetto che conta i nostri passi, l'app che somma i valori nutrizionali di ciò che mangiamo raccolgono dati per darci una sensazione di controllo sulla nostra salute. Ma leggere dei numeri su un display non ci aiuta a renderci conto delle relazioni tra le parti di un sistema complesso: ci dà solo informazioni decontestualizzate. Cosa può mai dire un'app della qualità del suolo in cui è cresciuto un pomodoro, dell'acqua che lo ha innaffiato, delle api e dei bombi e del vento che hanno consentito alla pianta di essere impollinata? Perché tutte queste informazioni – che Nora Bateson chiama warm data – dovrebbero essere meno rilevanti per la nostra salute del numero di calorie per 100g?

Percepire le relazioni

Per mettersi in relazione con complessità quotidiana, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico di HER She loves data hanno proposto IAQOS, una "intelligenza artificiale di quartiere" che è stata introdotta con grazia nel sistema di relazioni tra gli abitanti di Torpignattara a Roma. IAQOS "non è un servizio che dimora chissà dove nel cloud, che macina chissà quali dati, in maniere sconosciute, per scopi non dichiarati. [È] un vicino speciale, magari strano, alieno, queer, che è entrato nelle vite delle persone", si legge nell'articolo che racconta l'esperienza di IAQOS. Questa intelligenza artificiale locale introduce un modo diverso di trattare i dati – da estrazione dalle persone di unità disgregate di informazioni, alla restituzione alle persone, ricca e intrecciata, di un complesso sistema di relazioni locali.L'esperimento di IAQOS ci insegna che se della mole di dati e informazioni che ci sovrasta riusciamo a percepire le relazioni, la complessità diventa più approcciabile.

Immaginare il futuro

Avere un approccio relazionale alla complessità non ci aiuta soltanto ad osservare un presente indecifrabile senza venirne sopraffatti. Durante la pandemia, immaginare la direzione in cui andare – il nostro futuro – è diventato estremamente difficile. La sensazione è di essere in mezzo a un mare di complessità senza una meta, senza bussola e senza salvagente. Come si può immaginare il futuro in una situazione incerta?Per cercare risposte a questa domanda, ci si può rivolgere ai futures studies, cioè lo studio dei futuri. I futures studies sperimentano approcci e strumenti per navigare "sulle sottili linee che connettono probabile, possibile, improbabile, raro e impossibile per giungere a uno o più futuri auspicabili", per usare le parole dell'amico Daniele Bucci. Non mi dilungherò sui futures studies, vista l'ottima introduzione scritta da Daniele. Qui mi limito a dire che attraverso alcune pratiche (tipo il foresight, letteralmente "previsione, preveggenza"), si può immaginare il futuro e cercare di interferire in esso. Non si tratta di divinare, benché alcuni strumenti tipo i tarocchi proposti dall'artista Tomás Saraceno invitino a sintonizzarsi con futuri possibili; si tratta di creare una rappresentazione, una narrazione del futuro. Il suo scopo è quello di introdurre una variazione nella quotidianità di chi rappresenta; indicare una direzione, nel mare della complessità, verso cui cominciare a remare (o dalla quale allontanarsi).

Futuri speculativi

Voglio raccontare un'esperienza di contatto con futuri possibili che ho vissuto nella primavera dell'anno scorso. A maggio 2020, Daniele ha organizzato un laboratorio intitolato Futuri speculativi - esplorare i futuri per modificare il presente. L'invito era semplice:

Ci troveremo online per 2 ore per scrivere insieme, ma in solitudine, delle storie che raccontano i futuri prossimi su questo pianeta.

Una timida piantina di melanzana nel mio giardino

L'intento del laboratorio era di far emergere, durante la pandemia, diverse visioni di futuri possibili. "Chi prevede il futuro all’interno di una comunità detiene un grande potere sull’immaginario altrui, ne determina le azioni e può modificare il presente", scriveva Daniele nel suo invito. "Questo laboratorio condiviso vuole distribuire questo potere a tutte le persone che vorranno partecipare". La dimensione collettiva, laboratoriale, non aveva l'obiettivo di produrre un unico racconto, quanto di offrire uno spazio di immaginazione condiviso. Qualcosa di cui avevo sentito grande nostalgia, nella solitudine del lockdown.Per me era un periodo difficile: mio padre era scomparso da nemmeno due mesi, il passato era pieno di ricordi, il presente dell'isolamento era composto da una catena di giornate indistinguibili, il futuro era incerto. Pur di non stare dentro casa, il 23 maggio ho sistemato il computer sul tavolo in giardino e mi sono seduta con lo sguardo rivolto a un piccolo orticello che avevo piantato qualche settimana prima. Dopo un giro di presentazioni in videochiamata per segnare il nostro arrivo nello spazio digitale del laboratorio, ciascuno dei partecipanti ha creato un nuovo file in una cartella condivisa e ha cominciato a scrivere il proprio racconto di futuri, senza interrompere la comunicazione con gli altri partecipanti. L'unico vincolo alla creatività era di immaginare un futuro prossimo, che non andasse oltre il 2040.In quello spazio sospeso tra fisico e digitale, tra privato e condiviso, ho lasciato che i desideri del presente si trasformassero in fatti del futuro. Immersa in uno stato di piena, gioiosa concentrazione, ho trasformato un presente malinconico in un'immagine di speranza. I dati puri – il numero di contagi, l'indice Rt, i giorni di lockdown, i miliardi di euro persi nell'ennesima crisi – hanno lasciato il posto alla tessitura (un abbozzo, certo) di un sistema di relazioni.

Al termine delle due ore di scrittura, sono ritornata alla schermata della videochiamata per confrontarmi con gli altri partecipanti. Abbiamo condiviso impressioni, emozioni: sull'onda dell'entusiasmo, abbiamo deciso di organizzare altri incontri di scrittura personale in compagnia. In uno di questi, i partecipanti si sono letti i propri racconti a vicenda.Sono tornata spesso al racconto anche da sola, per modificarlo e aggiungere dei pezzi; l'ho inviato a un amico copywriter la cui opinione (non solo sulla scrittura) per me conta molto; l'ho fatto leggere a mia madre; l'ho stampato e dato al mio compagno al quale, a sua insaputa, mi ero ispirata per creare uno dei personaggi della storia. "E tu, quale personaggio sei?", mi ha domandato. Sono tutti loro. Nel mare della complessità, tutti i miei del presente hanno preso a remare nella medesima direzione.

Creare il futuro per ri-creare noi stessi (e viceversa)

Il mondo, nella sua interezza e complessità, è la nostra casa. Tuttavia, abbiamo creato un "mondo umano", distinto dal "mondo naturale" e incaricato di organizzarlo, semplificarlo, domarlo; così facendo, abbiamo avviato la sua (la nostra) distruzione. Tony Fry chiama tale processo defuturing, "defuturazione": viviamo in sistemi da noi creati ostili alla nostra sopravvivenza, talmente complessi e interconnessi con la nostra vita quotidiana che, pure a volerli cambiare, non sappiamo da che parte cominciare. La complessità di questi sistemi ci spaventa, e tuttavia ci ostiniamo a cercare di risolverla come se si trattasse di un insieme di problemi complicati.Per dare forma a "un futuro che abbia un futuro", dobbiamo ri-creare i sistemi in cui viviamo, le relazioni di cui essi si compongono e, dunque, dobbiamo ricreare noi stessi. Se vi state domandando ma che vuol dire?, la risposta è che non lo so: è tutto da scoprire. Ma la scorsa primavera, seduta nel mio giardino, per un attimo ho creato un futuro diverso. E ora non riesco più a smettere.

Se vuoi leggere la storia che ho scritto, clicca qui. Nella primavera del 2021 realizzeremo una seconda edizione del workshop Futuri speculativi. Se vuoi essere informato su quando apriranno le iscrizioni, puoi lasciare il tuo indirizzo email a questo link.

Grazie a Daniele, Cristiano e Ottavia per i loro consigli nella scrittura di questo articolo!

Riferimenti

Nora Bateson, Warm Data, Team Human Podcast, 2018Daniele Bucci, Presentificazione e collettivizzazione di futuri, 2021

Mihaly Csikszentmihalyi, Flow: The Psychology of Optimal Experience, Harper & Row, 1990

Giorgia Favero, L’uomo e la grandezza della natura: echi di sublime, La chiave di Sophia, 06.11.2019

Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, When my child is AI. Learning and experiencing through AI outside the school: the experiences of a community AI, Qtimes, 2021

Tomas Saraceno, Arachnomancy Cards, 2018Ed Yong, The Wood Wide Web, The Atlantic, 14.04.2016

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Questa è una dichiarazione di interdipendenza.

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Dedicato a chi mi chiede che mestiere faccio