Creatori, collaboratori, osservatori: come prendersi cura delle comunità

Qualche giorno fa ho raccolto la frustrazione di un membro di un gruppo di cui faccio parte: non gli sembrava che ci fosse la voglia di collaborare, visto che, nonostante tutte le organizzazioni coinvolte siano realtà consolidate, nelle tre riunioni tenutesi finora i partecipanti non hanno superato le 4-5 persone. Il suo commento mi ha fatto riflettere: perché la scarsa partecipazione spesso genera delusione e nervosismo? La radice della frustrazione è da ricercare nel numero ridotto di partecipanti, o ci sono altri fattori in gioco?

La regola dell'1% delle comunità

La scarsa partecipazione attiva è, in realtà, un fenomeno molto diffuso, tanto da avere una sua "legge". Pensata per descrivere l'ineguaglianza partecipativa in rete, la regola dell'1%è una teoria secondo cui la percentuale dei soli osservatori di una comunità è enormemente superiore a quella dei collaboratori attivi.

In sostanza, si tratta di una distribuzione percentuale: 1-9-90. Qualsiasi gruppo o comunità è generalmente costituito da:

  • Un 1% dei membri che contribuisce attivamente, produce idee e le mette in pratica, e ha un elevato senso di responsabilità nei confronti del gruppo: li chiameremo creatori.

  • Un 9% dei membri che partecipa più o meno frequentemente portando il proprio contributo originale, ma ha altre priorità: li chiameremo collaboratori.

  • Un buon 90% costituito da un pubblico di osservatori/utenti. Essi non sono necessariamente passivi: parlando della comunità con altri, o condividendo sui social, amplificano le attività del gruppo e invitano altri a interagire.

Creatori, collaboratori e osservatori hanno necessità diverse

Sia i creatori che i collaboratori sono animati dalla passione per il progetto e dal desiderio di condividere, ma i loro obiettivi e le loro necessità differiscono.

I creatori si sentono garanti del buon funzionamento del gruppo e dell'andamento dei progetti, e tendono ad assumersi grandi responsabilità. Spesso sono tra i membri fondatori e hanno una visione chiara di dove vogliono arrivare e di come impostare il lavoro. Ciò rende loro difficile delegare i compiti ad altri – cioè al 9% – o prendersi le giuste pause dal lavoro quando sopraggiungono altre priorità.

Per i creatori, specie i più perfezionisti, il rischio è di ritrovarsi frustrati ("non ha fatto come gli ho detto!"), affaticati ("devo sempre fare tutto io!"), ansiosi ("come faranno senza di me?"). Insomma, anche quando sopraggiunge il burnout, i creatori faticano a fermarsi per riposarsi e riflettere.

I collaboratori, d'altra parte, desiderano partecipare, ma non sanno bene come; vogliono portare il proprio contributo originale, desiderano che i propri sforzi siano riconosciuti, ma temono la sanzione dei creatori se commettono degli errori. Il rischio è che, passato l'entusiasmo iniziale, i collaboratoriperdano interesse per mancanza di chiarezza su come procedere, perché si sentono insicuri o esclusi dal processo decisionale, o perché non vedono l'opportunità di apportare un contributo significativo al gruppo.

Gli osservatori, infine, possono essere incuriositi o interessati a partecipare, ma spesso non sanno da dove cominciare, non conoscono le persone giuste, non sono sufficientemente informati e non sanno dove reperire le informazioni; pertanto si limitano a osservare e interagire in maniera marginale e leggera.

Un esercizio: pensa a un gruppo di cui fai parte

Pensa a un gruppo, un'organizzazione o una comunità di cui fai o hai fatto parte. Qual è il tuo ruolo? Sei un creatore, un collaboratore o un osservatore? Come ti senti nel tuo ruolo?

Come creatrice, anche io ho provato il peso della responsabilità e la sensazione che nulla potesse procedere senza di me. Delegare è difficile, richiede tempo e pazienza, ed è spesso accompagnato dal senso di colpa.

Da collaboratrice, invece, mi è capitato di sentirmi incompresa e giudicata per aver preso troppa iniziativa e aver mostrato troppo entusiasmo, troppo presto, o per le cose sbagliate.

Come tutti, sono un'osservatrice o un'utente passiva nella maggior parte dei gruppi (per esempio sono un'utente di Wikipedia, ma non ho mai contribuito alla stesura delle voci). Spesso non contribuisco per mancanza di interesse o di tempo, ma talvolta mi sono limitata a osservare nel tentativo di capire come contribuire, senza riuscirci.

Nutrire relazioni e rapporti sostenibili

Esaminando i bisogni e le necessità di creatori, collaboratori e osservatori, emerge che non sono tanto i numeri a misurare la qualità di un processo partecipativo, quanto la qualità della relazione tra i membri del gruppo e, quindi, la capacità del gruppo di rispondere alle necessità e ai desideri dei suoi membri.

Concentrarsi sui numeri nell'illusione che maggiore è la partecipazione, maggiore sarà la qualità dei progetti e la velocità con cui essi vengono realizzati può rivelarsi controproducente. Prima di pretendere un elevato coinvolgimento di tutta la comunità, chiediamoci qual è il nostro ruolo e quali bisogni – nostri e del gruppo – sono ancora insoddisfatti. Di cosa hanno bisogno i creatori per poter delegare in tranquillità? Di cosa ha bisogno il collaboratore per sentirsi soddisfatto e felice di contribuire? Posto che ci sarà sempre un'elevata percentuale di membri che non contribuirà se non in maniera marginale, cosa possiamo fare per accogliere i membri del gruppo e e renderli più partecipi?

Nei grandi gruppi come in quelli piccoli, si può lavorare bene purché si dia la priorità a mantenere alta la qualità delle relazioni e delle interazioni all'interno del gruppo. Coltivare fiducia e ascolto reciproco consente di ridurre frustrazione e senso di colpa, di distribuire il potere tra i vari membri e favorire relazioni di interdipendenza invece della dipendenza da un gruppo ristretto di individui. Una comunità è sostenibile se è basata su relazioni sostenibili, che danno più di quanto prendono, che ci nutrono, ci stimolano e ci ispirano.

Comunicare in maniera consapevole

Il primo passo per creare una comunità sostenibile sta nell'apprendere le capacità per una comunicazione buona ed efficace, che contribuisca al benessere del gruppo e mitighi il conflitto. Imparare a comunicare in maniera nuova richiede tempo, energia e volontà; significa cambiare il modo in cui siamo abituati a interagire con gli altri. Una comunicazione non giudicante e chiara, che si concentra sulle proprie emozioni invece di giudicare negativamente gli altri, consente di parlare di tutto, anche di problemi, disguidi, insicurezze e difficoltà. Inizialmente, cambiare il modo in cui comunichiamo può sembrarci innaturale, poco spontaneo, forzato. Ma tutte le capacità comunicative – incluse quelle che usiamo quotidianamente –sono facoltà acquisite che sono diventate abitudini, ed è sempre possibile impararne di nuove e trasformarle in nuove abitudini.

Prendersi cura del gruppo è prendersi cura di sé (e viceversa)

Lavorare in gruppo significa fare una serie di piccoli investimenti i cui benefici si manifestano solo nel lungo periodo. Senza un investimento costante nella cura delle relazioni, i gruppi diventano strutture rigide e insensibili, in cui i membri si sentono intrappolati o nelle quali è impossibile entrare. Quando i membri del gruppo si prendono reciprocamente cura delle necessità di ciascuno a tutti i livelli di coinvolgimento – creatori, collaboratori, osservatori – e creano opportunità per ciascuno, il gruppo diventa terreno fertile per lo sviluppo degli intenti individuali, all'interno di una più ampia e condivisa visione collettiva.

Riferimenti, approfondimenti

Oliva, G. n.d. Creare comunità. Le basi per partire, comunicazione e ascolto. https://bit.ly/3hAudBz

Hassan, S. 2016. Online Tools to Increase Participation in Collaborative Communities. https://www.youtube.com/watch?v=xlXeMScO3F4

Rosenberg, M. 2003. Le parole sono finestre (oppure muri). Introduzione alla comunicazione nonviolenta. https://bit.ly/3iyle5d

Tutte le immagini in questo post, a eccezione del grafico a torta, sono di Diana Valeanu di Absurd.design - https://absurd.design/

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