Perché è importante costruire una visione condivisa (e renderla esplicita)

"Che sono tutte queste chiacchiere?! Qui bisogna FARE!", tuona un partecipante alla riunione. Tutti i presenti balzano sulla sedia, risvegliati dal torpore di un'assemblea che sembra non andare da nessuna parte. Qualcuno annuisce. "Bene, allora, cosa vogliamo fare?", domanda una partecipante. "Abbiamo bisogno di un piano!" aggiunge un altro, prendendo carta e penna. "Potremmo fare questo," propone uno. "Sì, oppure quest'altro," aggiunge qualcuno. "E anche questo!", "No, quello no," "E perché no?" "Perché..." Tutti vogliono fare qualcosa.

Alla fine della riunione, c'è una lunga lista di attività su un foglio, ma i dubbi restano: perché vogliamo fare proprio queste cose, e non altre? Cosa facciamo prima, cosa dopo? Chi fa cosa, e come? 

L'importanza di avere una visione

Un gruppo, normalmente, viene fondato da persone con una visione. A volte la visione è chiara, esplicita e ben articolata. Più spesso, è data per scontata e rimane implicita: il gruppo non ha mai trovato il tempo di delineare, con calma e precisione, qual è la visione condivisa, oppure i membri del gruppo hanno paura che, rendendo la visione esplicita, la renderanno rigida e immutabile, allontanando potenziali membri.Invece, una visione chiara e condivisa è fondamentale per i gruppi: dà un'idea precisa, ai potenziali membri, di ciò a cui si stanno unendo, e crea un criterio in base al quale giudicare le decisioni del gruppo. 

Per fare una visione, ci vuole immaginazione

Una visione è composta da tanti elementi. Innanzitutto, è l'immagine del mondo che vogliamo creare. Descrive il futuro comune che si vuole creare a livello ideale, utopistico, a lungo termine.A volte i gruppi si formano attorno a una visione negativa, una paura comune, qualcosa che ci fa arrabbiare, qualcosa di sbagliato che vogliamo combattere. Protestare contro le ingiustizie è importantissimo, ed è ancora più efficace se, quando protestiamo, abbiamo in mente un'immagine del mondo per come vorremmo che fosse – quando sappiamo cosa vogliamo, non solo cosa non vogliamo.Per costruire la visione, è utile prendere in considerazione tre elementi:

  • La qualità della vita che desideriamo

  • Le risorse che abbiamo a disposizione

  • Cosa vogliamo fare / produrre / realizzare

Se ci si concentra esclusivamente sull'ultimo elemento, è facile perdere di vista il quadro complessivo, il fine ultimo del nostro agire. Come attivista, ho visto diversi gruppi sciogliersi per la frustrazione di dover "organizzare una serie di eventi" anziché di dover creare una nuova cultura fondata su certi valori condivisi. 

La visione serve a capire chi c'è e chi non c'è

Costruire una visione condivisa significa rendere espliciti concetti con cui ogni membro del gruppo si può identificare e che si impegna a sostenere. Aiuta a unificare l'impegno collettivo e a mettersi d'accordo su dove investire energia, è un punto fermo a cui fare riferimento in momenti di disaccordo e confusione.A volte, definire la visione aiuta i membri del gruppo a sentirsi più uniti. A volte, invece, rende chiaro ad alcuni membri che devono cercarsi un altro gruppo, uno che condivida gli aspetti fondamentali della propria visione. In seguito alla definizione della visione, alcuni possono persino decidere di lasciare il gruppo. Non si tratta di un fallimento, ma di un fenomeno naturale: il gruppo sta definendo la propria identità. Quando penso a questo fenomeno, mi viene sempre in mente un libretto intitolato 101 cose che ho imparato alla scuola d'architettura di Matthew Frederick. Il principio n°17 recita: "più specifica è l'idea progettuale, maggiore sarà la sua attrattiva". 

Chiesa di tutti – Chiesa dei vegetariani a strisce viola (M. Frederick, 2007)

 L'autore sottolinea che decidere di non essere specifici nel tentativo di piacere a tutti solitamente porta a non riuscire a raggiungere nessuno. "Progetta una scalinata per il giorno in cui una sposina nervosa la percorrerà. Da' forma a una finestra perché incornici uno specifico albero in una perfetta giornata d'autunno..." ci raccomanda Frederick. Un modo per sottolineare che bisogna sempre avere in mente una visione quando si progetta. Attenzione, però: non sono del tutto d'accordo con Frederick. Costruire una visione estremamente specifica può portare all'esclusione di alcune diversità che, invece, potrebbero offrire punti di vista differenti e arricchire il gruppo. Per questo occorre individuare quali valori condivisi sono imprescindibili per lavorare assieme verso il raggiungimento della visione. Per esempio: se vogliamo organizzare un concerto insieme, la frequenza con cui pulisci il bagno di casa tua non mi interessa. Ma, se il progetto è quello di vivere assieme, quanto sei ordinata diventa molto più importante di quanto saresti disposta a spendere per il cachet di un certo artista. In tutti i casi, l'obiettivo non può essere quello di imporci reciprocamente i rispettivi valori: invece di sprecare energie nel cercare di vincere l'una sull'altra, è meglio cercare un equilibrio che ci consente di lavorare assieme per un (più significativo) obiettivo comune. 

Visione, intenzione e obiettivi non sono la stessa cosa

Costruire una visione condivisa è importante, ma non bisogna fermarsi a questo. Dopo aver sviluppato la visione, è importante stabilire intenzione, obiettivi e metodi di gestione del gruppo (la cosiddetta governance) fondati su valori condivisi.La maniera più facile di spiegare la differenza tra visione e intenzione è di descrivere come queste vengono costruite. Il libro The Empowerment Manual di Starhawk descrive nel dettaglio alcuni esercizi di gruppo per la costruzione di visione e intenzione condivise. Nella tabella riporto le domande a cui rispondere durante gli esercizi: vedete come la visione si riferisce a un sogno, a elementi astratti e molto soggettivi, mentre l'intenzione ha a che fare con una missione concreta e delle difficoltà reali, oggettive. 

Gli obiettivi sono espressione di ciò che vogliamo ottenere nel realizzare la nostra intenzione. A differenza della visione, dovrebbero essere il più possibile specifici, misurabili, realistici, connessi all'intenzione e ai valori, e dovrebbero avere una data di scadenza (sono, cioè, i cosiddetti SMART goals). Ancora meglio se, per dare forma agli obiettivi comuni, si raccolgono e si discutono i desideri individuali e gli obiettivi personali dei membri del gruppo. Spesso mi chiedono perché parlo tanto di obiettivi individuali nel lavoro di gruppo: in un progetto collettivo, non è un po' strano se le persone partecipano per perseguire vantaggi personali? Non c'è un conflitto di interessi? Una buona risposta a queste domande è quella data da uno dei relatori al festival Playground for the New Economy di Stir to Action, a cui ho partecipato a settembre 2020:

Nelle iniziative partecipative, la maggior parte dei cosiddetti "conflitti di interessi" è, di fatto, l'espressione di un interesse diretto. E se non hai un diretto interesse per ciò che stiamo facendo, che ci fai qui?!

- Bob Thust

 Partire dagli interessi personali per costruire un obiettivo comune non è sbagliato: è realistico. Se ci sono degli obiettivi personali in conflitto l'uno con l'altro, occorre trovare il modo di conciliarli, facendo sempre riferimento a visione e valori condivisi. È utile anche pensare a quanto controllo abbiamo sul raggiungimento degli obiettivi, a quali sono pienamente nel nostro controllo, quali dipendono da circostanze esterne, e quali obiettivi dobbiamo raggiungere prima, per poi potercene dare altri. 

Governance e potere: come gestirli?

Infine, gli accordi sulla gestione del gruppo. Si tratta di stabilire qual è l'organizzazione interna (ci si divide in gruppi di lavoro? Quali sono i ruoli, le responsabilità?), chi decide cosa e in quali situazioni, quanto durano le decisioni prese, e quali metodi decisionali sono appropriati nelle diverse circostanze. I metodi decisionali meritano un articolo tutto per loro, ma per ora voglio solo dire: continuate a parlare di potere! L'obiettivo che tutti abbiano la stessa quota di potere probabilmente è irraggiungibile per la maggior parte dei gruppi, ma costruire una cultura condivisa, un clima di sicurezza psicologica in cui tutti si sentono liberi di parlare di potere, di come questo è distribuito, di che forma prende di volta in volta, è un obiettivo molto più sano e utile. Starhawk individua quattro forme di potere:

  • Potere interiore, empowerment: il potere che sentiamo quando facciamo qualcosa di creativo come ballare, cantare, disegnare, o quando lottiamo per qualcosa in cui crediamo

  • Potere collettivo, solidarietà: il potere che sentiamo quando agiamo in maniera coordinata, aiutandoci a vicenda

  • Potere sociale, autorità: il potere che sentiamo quando veniamo ascoltati in quanto esperti, quando siamo influenti, quando veniamo rispettati

  • Potere sugli altri, coercizione: il potere che abbiamo di controllare gli altri, le loro azioni o le risorse a loro disposizione, il potere di imporre punizioni, di assumere o licenziare. Generalmente, i gruppi collaborativi cercano di eliminare o ridurre la coercizione in favore di decisioni collettive.

 Le conversazioni sul potere possono essere un po' difficili, imbarazzanti, stressanti; chi partecipa può mettersi sulla difensiva oppure diventare aggressivo. Ecco perché è utile avere degli accordi (espliciti, scritti, condivisi) tra i membri del gruppo su come si intende affrontare questo tipo di conversazioni, su come risolvere i conflitti e come comportarsi quando si è in disaccordo. 

In conclusione

Visione, intenzione, obiettivi, governance definiscono il nostro perché profondo, danno un senso alle nostre azioni e ci aiutano a portarle a termine con successo evitando di renderci il lavoro inutilmente difficile e tedioso. È normale che alcuni mostrino impazienza durante le conversazioni sulla visione, sul processo, sull'organizzazione del lavoro insieme. Ma persino nel mondo degli affari, in cui la gente è pagata per portare a termine determinati compiti, pretendere che ciascuno svolga le proprie mansioni a testa bassa tutto il tempo senza poter mai fare domande non è molto realistico – specie se si hanno a cuore il benessere e la soddisfazione dei dipendenti e dei collaboratori. Certo, dedicare la totalità del tempo a disposizione a visione, obiettivi e processo senza mai pensare ad azioni, prodotti e risultati non è molto efficace; ma trovare il giusto equilibrio tra fare cose e pensare a come farle ci consente di portare avanti le attività del gruppo in maniera sostenibile e di avere un impatto positivo su ciò che ci circonda e su noi stessi. 

Riferimenti

Starhawk, (2011). The empowerment manual: a guide for collaborative groups. New Society Publishers.

Bartlett, R. Patterns for Decentralised Organising.

Frederick, M. (2007). 101 things I learned in architecture school. Mit Press.

Oliva, G. n.d. Creare comunità. https://bit.ly/3hAudBz

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